Non sono passati molti giorni da quando in classe, cercavo di rassicurare i ragazzi intimoriti dal Covid-19, che in quel momento non si trattava ancora di un’emergenza… Io che da anni considero ogni singolo batterio o virus una potenziale minaccia per la mia vita, cercavo, per le mie conoscenze di biologa che ha lavorato per anni in virologia, di tranquillizzare i loro animi persi in mille congetture e paure. Ma il mio pensiero era sempre lì… se le cose degenerassero? Poi ho avuto l’influenza e i miei pensieri sono andati subito a lui… e se fosse? Per fortuna i sintomi non erano quelli e dopo sei iniezioni di antibiotici e cortisone, sono stata meglio, anche supportata da un po’ di ossigenoterapia notturna a causa della tosse, che come sempre accade, restringe i miei bronchi già piuttosto compromessi. Però mi sentivo lo stesso un paziente Covid+, perchè molte delle persone che mi sono vicine mi hanno fatto capire di pensarlo… e non è stato per niente bello. Poi, mentre ero ancora alla mutua, arriva la sospensione delle lezioni, dapprima per una settimana e poi fino al 4 aprile… la cosa a questo punto si fa seria… ogni giorno la conta dei contagiati e dei decessi ti tiene impietrito davanti alla tv e dentro di te speri di essere spettatore di uno di quei film che adoravo guardare sulle epidemie… invece è la realtà… Da un giorno ad un altro sei privato della libertà di uscire, di stare accanto ai tuoi genitori che vivono nel comune accanto, solo un membro della famiglia si può muovere per andare a fare la spesa o recarsi in farmacia… La paura diventa la mia prima compagna: Vale continua a lavorare… ma non ho paura per questo, ho paura per il comportamento degli altri… perchè tutti i giorni assistiamo a fughe dalle zone rosse, a comportamenti non consoni a trasmettere il virus… e se arrivasse da me? Noi immunodepressi, così come molte persone con altre patologie, viviamo con angoscia questa situazione perchè siamo più fragili, più vulnerabili… sappiamo che potremmo morire con la polmonite… la nostra unica arma è rispettare le regole che ci vengono imposte stando rigorosamente a casa. Noi trapiantati possiamo dire di essere tra i fortunati che soffrono meno la reclusione, perchè abbiamo vissuto l’isolamento totale della camera sterile in aggiunta ai sei mesi di reclusione domiciliare successiva, durante la quale ci era consentito uscire solo per andare a fare terapie e controlli indossando la mascherina, unico ausilio che ci permetteva di proteggerci dal mondo esterno. Siamo però anche quelli che, in questo momento, si ritrovano ad avere paura ad uscire perchè per le altre persone sembra difficile mantenere le distanze e rispettare le indicazioni (anche se forse qualcuno sta facendo progressi in questi senso)… Lunedì mi sono dovuta recare all’ospedale per fare la terapia mensile con le Immunoglobuline e non è stato affatto facile, nonostante le rassicurazioni del personale infermieristico e medico. Sono salita in auto dopo due settimane di reclusione e vedere le strade vuote e tutti i negozi chiusi, mi ha catapultato di colpo nella realtà. Parcheggiata l’auto ho indossato la mascherina che avevano dato a Vale in ditta, quella col filtro, ed è stato come fare un salto nel mio passato, un salto doloroso… e col groppo alla gola, ho fatto una registrazione prima di scendere, per aiutare le persone a capire. Mi sono poi diretta all’ingresso dell’ospedale dove mi hanno misurato la temperatura, chiesto se avessi altri sintomi e fatto igienizzare le mani con il gel alcolico prima di farmi entrare. L’atmosfera era surreale: i corridoi vuoti riecheggiavano solo dei miei passi, fuori dagli ambulatori le sedie erano delimitate da fettuccine per non far sedere i pazienti vicini, il silenzio era assordante… ho incontrato solo un operatore con mascherina e guanti e un signore anziano che probabilmente aspettava una visita… ci siamo scambiati uno sguardo da sopra le mascherine… Fatta la scala di accesso al day hospital, sono stata subito accolta dalle splendide infermiere del reparto, anche loro dotate di mascherine… Mi hanno fatta accomodare su una poltrona in una stanza stranamente deserta che di solito accoglie un via vai di persone per terapie e medicazioni di vario tipo. A parte l’interazione per l’inserimento della cannula e il cambio delle boccette, sono rimasta sempre sola con il mio ipad per guardare le serie televisive che mi permettono di far trascorrere il tempo… la tensione però era palpabile nei brevi tratti di discorsi che riuscivo a percepire. Finalmente alle 12.30 l’ultima boccetta è finita e sono tornata a prendere l’auto e togliermi quella mascherina che è stata la mia unica protezione. Sono passata dalla farmacia per ritirare i miei farmaci e sono tornata a casa… il posto in questo momento più sicuro per me, ovviamente lasciando fuori il giaccone, gli abiti e le scarpe usati per non far entrare niente. Dopo poco ricevo la telefonata dall’ospedale Cisanello per il rinvio del controllo nefrologico del 23… meno male, almeno non mi dovrò recare a Pisa visto che le analisi sono buone!
Come passo il mio tempo a casa al tempo del Covid-19? La cosa bella è che sembra sempre di non averne a sufficienza per tutte le cose che ci sono da fare e stranamente arrivo a fine giornata più stremata di quando la mia vita era scandita in modo normale. Ora noi docenti lavoriamo da casa, con la didattica a distanza che ci mette a dura prova… nessuno è mai stato preparato per una tale evenienza e per fortuna la mia scuola è dotata di tutti quei supporti che ci permettono di seguire i ragazzi anche da casa… linee permettendo… ma purtroppo ci dobbiamo anche confrontare con le diverse disponibilità delle famiglie e questo ci rattrista… io come docente di sostegno mi sento ancora più impotente perchè posso stare accanto ai miei ragazzi attraverso skype o videochiamate con whatsapp per mantenere quel contatto che per loro è fondamentale… e ti ritrovi a commuoverti rivedendoli attraverso lo schermo e cerchi di dare il meglio di te per aiutarli con tutto ciò che ti puoi inventare… ed è dura sia mentalmente che emotivamente… e ti accorgi di quanto ti manca la scuola, quanto ti manca il rapporto umano con i ragazzi e i colleghi… E poi c’è tutta la gestione della didattica a distanza dei figli che porta via un’altra bella fetta delle tue forze quotidiane e bisogna combattere anche con la tecnologia che a volte va e altre va ma a singhiozzo… E poi tutti i lavori domestici che prima potevi delegare e che ora incombono di nuovo… Insomma… le giornate di 24 ore si accorciano e il tempo passa… e speriamo che passando ci consenta di poter tornare alla nostra normalità il prima possibile e indenni… Buona vita a tutti!